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martedì 28 febbraio 2012

un parere autorevole

Ho pensato di condividere con voi il piacere di leggere un testo che mi ha fatto riflettere:

Cultura 05/02/2012 -
Cosa ci succede quando leggiamo un romanzo

Una lezione del Nobel per la etteratura ORHAN PAMUK
Cosa succede nella nostra mente, nella nostra anima, quando leggiamo un romanzo? In cosa tale sensazione interiore differisce da ciò che proviamo guardando un film, un quadro, o ascoltando una poesia, o un poema epico? Un romanzo può dare, di tanto in tanto, lo stesso piacere che danno una biografia, un film, una poesia, un quadro o una fiaba. Eppure l’effetto vero, esclusivo, di quest’arte è fondamentalmente diverso da quello degli altri generi letterari, del cinema e della pittura. E forse posso cominciare a illustrarvi la differenza raccontandovi ciò che ero solito fare e le complesse immagini che l’appassionata lettura di romanzi suscitava in me quando ero giovane.
Come il visitatore di un museo in primo luogo e soprattutto desidera che il quadro che sta guardando nutra i suoi occhi, io i solito preferivo l’azione, il conflitto, e la ricchezza del paesaggio. Mi godevo sia la sensazione di osservare segretamente la vita privata di un individuo sia quella di esplorare gli angoli oscuri della veduta d’insieme.

Non pensate che l’immagine che conservavo in me fosse sempre turbolenta. Quando leggevo un romanzo, nella mia giovinezza, accadeva talora che prendesse forma dentro di me un paesaggio ampio, profondo, quieto. E qualche volta le luci si spegnevano, il bianco e il nero si accentuavano e poi si scindevano, e spuntavano le ombre. Qualche volta mi meravigliavo, perché avevo l’impressione che il mondo intero fosse fatto di una luce del tutto diversa. E qualche volta il crepuscolo pervadeva e copriva ogni cosa, l’intero universo diventava una singola emozione e un singolo stile, capivo che ciò mi piaceva e sentivo che stavo leggendo il libro per quella particolare atmosfera. Mentre venivo lentamente sommerso dal mondo del romanzo, mi rendevo conto che le tracce delle azioni che avevo compiuto prima di aprire le pagine del libro, seduto nella casa di famiglia nel quartiere di Besiktas a Istanbul - il bicchiere d’acqua che avevo bevuto, la conversazione con mia madre, i pensieri che avevano attraversato la mia mente, i piccoli risentimenti albergati -, svanivano piano piano.

Sentivo che la poltrona arancione in cui ero seduto, il posacenere maleodorante lì accanto, la stanza piena di tappeti, le grida dei ragazzini che giocavano a pallone in strada e il fischio dei battelli in lontananza retrocedevano dalla mia mente; e un mondo nuovo prendeva forma davanti a me, parola per parola, frase per frase. Pagina dopo pagina, quel mondo nuovo si cristallizzava e acquistava nitidezza, come quei disegni segreti che appaiono a poco a poco quando ci si versa sopra un reagente; e venivano messi a fuoco linee, ombre, avvenimenti e personaggi.

In quei primi momenti, tutto ciò che ritardava il mio ingresso nel mondo del romanzo e mi impediva di ricordare e immaginare personaggi, avvenimenti e oggetti mi procurava grande fastidio. Un membro della famiglia di cui avevo dimenticato il grado di parentela con il protagonista, l’incerta ubicazione di un cassetto con dentro una pistola, o una conversazione di cui intuivo ma non riuscivo a interpretare il significato recondito, ecco, questo tipo di cose mi irritavano enormemente. Scrutavo con avidità le parole, augurandomi, con un misto di impazienza e piacere, che ogni cosa andasse rapidamente al suo posto. In quei momenti, tutte le porte della mia percezione erano spalancate, come i sensi di un animale domestico lasciato libero in un ambiente del tutto alieno, e la mia mente cominciava a funzionare assai più svelta, quasi in preda al panico. Mentre concentravo tutta la mia attenzione sui dettagli del romanzo che stringevo fra le mani, per mettermi in sintonia con il mondo in cui stavo entrando, lottavo per visualizzare le parole con la mia immaginazione e vedere con l’occhio della mente ogni cosa descritta nel libro.

Dopo un po’, quello sforzo intenso ed estenuante dava i suoi risultati e l’ampio paesaggio che desideravo vedere si apriva davanti a me come un immenso continente che appare in tutta la sua nitidezza quando la nebbia si solleva. Vedevo allora le cose raccontate nel romanzo come una persona che guarda comodamente il panorama da una finestra. Considero una sorta di modello come Tolstoj in Guerra e pace descrive Pierre che osserva la battaglia di Borodino dalla cima di un colle. Molti dettagli che il romanzo intesse delicatamente e prepara per noi, e che sentiamo il bisogno di serbare nella memoria, appaiono in questa scena come in un dipinto. Il lettore ha l’impressione di trovarsi non fra le parole di un romanzo, bensì in piedi davanti a un quadro. Qui, la cura dello scrittore per il dettaglio visivo, e l’abilità del lettore nel visualizzare le parole trasformandole in un vasto paesaggio, sono decisive. Leggiamo anche romanzi che non si svolgono nel paesaggio, su campi di battaglia o nella natura, e sono invece ambientati in una stanza, in atmosfere interiori soffocanti - La metamorfosi di Kafka è un buon esempio. Leggiamo queste storie come se stessimo osservando un paesaggio e, trasformandolo con l’occhio della mente in un quadro, ci abituiamo all’atmosfera della scena, ce ne lasciamo influenzare, anzi la esploriamo.
Voglio fare un altro esempio, di nuovo da Tolstoj, che ha a che fare con l’atto di guardare fuori da una finestra e mostra come leggendo si possa entrare nel paesaggio di un romanzo. È una scena del più grande romanzo di tutti i tempi, Anna Karénina. Anna ha appena incontrato Vrònskij a Mosca.

La sera, tornando in treno a San Pietroburgo, è felice perché l’indomani rivedrà il figlio e il marito:
«Anna prese dalla sua borsetta il tagliacarte e un romanzo inglese. Dapprima non poteva leggere. Davano noia il chiasso e l’andare e venire; poi, quando il treno si mosse, non si poteva non porgere orecchio ai rumori; poi la neve che batteva contro il finestrino di sinistra e che si appiccicava al vetro, e la vista d’un capotreno imbacuccato che passava vicino, coperto di neve da una parte, e i discorsi a proposito di com’era terribile la tempesta che c’era fuori, distrassero la sua attenzione. Più innanzi tutto fu sempre lo stesso: lo stesso traballìo accompagnato da picchi, la stessa neve contro il finestrino, gli stessi celeri passaggi da un caldo di vaporazione al freddo e di nuovo al caldo, lo stesso balenare degli stessi volti nella penombra e le stesse voci, e Anna cominciò a leggere e a capire quel che leggeva. Anna Arkàdjevna leggeva e capiva, ma le dispiaceva di leggere, cioè di seguire i riflessi della vita di altre persone. Aveva troppa voglia di vivere lei stessa. Se leggeva che l’eroina del romanzo vegliava un malato, aveva voglia di camminare a passi silenziosi per la stanza d’un malato; se leggeva come un membro del parlamento pronunciava un discorso, aveva voglia di pronunciare quel discorso; se leggeva che Lady Mary inseguiva un branco a cavallo e stuzzicava la cognata e stupiva tutti col suo coraggio, voleva far questo lei stessa. Ma non c’era nulla da fare, ed ella, girando il coltellino liscio con le sue piccole mani, si sforzava di leggere».

Anna non riesce a leggere perché non può fare a meno di pensare a Vrònskij, perché desidera vivere. Se fosse capace di concentrarsi sul romanzo, non avrebbe difficoltà a immaginare Lady Mary che monta a cavallo e segue la muta dei cani. Visualizzerebbe la scena come se stesse guardando da una finestra e avrebbe la sensazione di entrarci lei stessa a poco a poco.
La maggior parte degli scrittori sanno che la lettura delle prime pagine di un romanzo è un’esperienza affine all’entrare in un quadro di paesaggio. Pensiamo a come Stendhal inizia Il rosso e il nero. Prima vediamo da lontano la città di Verrières, la collina su cui è situata, le sue case bianche con i tetti spioventi di tegole rosse, le macchie di robusti castagni e le rovine delle fortificazioni. Sotto scorre il fiume Doubs. Poi notiamo le segherie e la fabbrica che produce toiles peintes, tessuti stampati pieni di colore.

Una pagina dopo, abbiamo già incontrato il sindaco, uno dei personaggi principali, e capito la sua struttura mentale. Il vero piacere di leggere un romanzo inizia con la capacità di vedere il mondo non dall’esterno ma con gli occhi dei personaggi che in quel mondo vivono. Leggendo un romanzo, oscilliamo fra ampia visione e attimi fuggevoli, fra pensieri generali e fatti specifici, a una velocità che nessun altro genere letterario è in grado di offrire. Mentre fissiamo un dipinto di paesaggio da lontano, ci ritroviamo all’improvviso tra i pensieri dell’individuo nel paesaggio e le sue sfumature d’umore. Ciò somiglia al modo in cui, nei dipinti di paesaggio cinesi, contempliamo una piccola figura umana sullo sfondo di fiumi, dirupi e alberi con miriadi di foglie: ci concentriamo su quella figura, poi cerchiamo di immaginare il paesaggio circostante attraverso i suoi occhi. (I dipinti cinesi sono fatti per essere letti così).

A quel punto ci accorgiamo che la composizione del paesaggio risponde all’esigenza di riflettere i pensieri, le emozioni e le percezioni della figura che c’è dentro. Allo stesso modo, sentendo che il paesaggio dentro il romanzo è un’estensione, o una parte, dello stato mentale dei personaggi, ci accorgiamo di identificarci con loro in una transizione invisibile. Leggere un romanzo significa che, mentre affidiamo alla memoria il contesto nel suo insieme, seguiamo, a uno a uno, i pensieri e le azioni dei personaggi attribuendo loro un significato nel paesaggio d’insieme. Siamo ora dentro il paesaggio che fino a poco fa guardavamo dall’esterno: oltre a vedere le montagne con l’occhio della mente, sentiamo la frescura del fiume e odoriamo il profumo della foresta, parliamo con i personaggi e ci addentriamo nell’universo del libro. La lingua del romanzo ci aiuta a combinare questi elementi distanti e distinti, e a vedere sia i volti sia i pensieri dei personaggi come parte di un’unica visione.

Quando siamo immersi in un romanzo, la nostra mente lavora sodo, ma non quanto quella di Anna, nello scompartimento di un treno sferragliante e coperto di neve per San Pietroburgo. Oscilliamo continuamente fra il paesaggio, gli alberi, i personaggi, i loro pensieri, gli oggetti che toccano - e dagli oggetti ai ricordi che essi evocano, ad altri personaggi, e infine alle riflessioni generali. La nostra mente e la nostra percezione sono attivissime, agiscono con estrema rapidità e concentrazione, facendo parecchie operazioni simultaneamente, ma molti di noi non si rendono nemmeno più conto di farle. Ci comportiamo esattamente come chi guida un’auto, che non compie consapevolmente il gesto di schiacciare pulsanti, premere pedali, ruotare il volante con cautela e nel rispetto di molteplici regole, leggendo e interpretando i segnali stradali e tenendo d’occhio il traffico.

Questa analogia è valida non solo per i lettori ma anche per il romanziere. Alcuni autori non sono consapevoli delle tecniche che usano, scrivono in modo spontaneo, come se stessero compiendo un gesto del tutto naturale, dimentichi delle operazioni e dei calcoli che svolgono mentalmente e del fatto che stanno usando il cambio, i freni e i pulsanti di cui li fornisce l’arte del romanzo. Userò il termine «ingenuo» per descrivere questo tipo di sensibilità, questo tipo di romanziere e di lettore di romanzi: quelli a cui non interessa quanto c’è di artificioso nello scrivere e nel leggere un libro. E userò il termine «riflessivo» per descrivere la sensibilità opposta: vale a dire quei lettori e scrittori che sono affascinati dalla componente artificiosa del testo e dalla sua mancata adesione alla realtà, e che prestano severa attenzione ai metodi usati nello scrivere romanzi e a come funziona la nostra mente mentre leggiamo. Essere un romanziere è l’arte di essere nello stesso tempo ingenuo e riflessivo.

giovedì 23 febbraio 2012

lettura del mese

Data di consegna 23.02.2012
Relazione "Il giorno della civetta"
Simone Restelli
Autore: Leonardo Sciascia
Titolo:"Il giorno della civetta"
Trama: Nella Sicilia degli anni 56/60 nel paese (di cui si sa
solo l'iniziale) S. L'imprenditore Salvatore Colasberna
dell'impresa "Santa Fara" viene ucciso mentre sta per salire su un
autobus.
Tutti i passeggeri e il venditore di pannelle, quindi i testimoni
principali dell'accaduto, sono spariti e rimangono solo l'autista
e il bigliettaio che affermano di non aver riconosciuto il corpo.
Nel frattempo viene ritrovato il venditore di pannelle che, sul
momento, dice di non aver sentito alcuno sparo mentre poi,
sottoposto a interrogatorio, ricorda di aver sentito due colpi di
pistola partiti da un sacco di carbone vicino alla chiesa
all'incrocio di piazza Garibaldi e via Cavour.
Il caso viene affidato al capitano Bellodi di origine emiliana(di
parma), ex partigiano diventato comandante della compagnia di C.
anche se era avviato alla carriera di avvocato che ritiene
l'omicidio un omicidio mafioso e si appresta alle indagini.
Mentre il capitano Bellodi è alle prese con le indagini in Sicilia
a Roma un politico chiede ad un'onorevole dello stesso partito di
far trasferire il capitano Bellodi per i problemi che sta creando
nel classificare mafioso questo omicidio.
Le indagini procedono nel frattempo e Bellodì riesce a sapere il
nome di Rosario Pizzuco da un informatore di nome Calogero Dibella
il quale poi in una "lettera" scritta prima di morire rivela i
nomi di Marchica, Pizzuco e Don Marino Arena, il presunto padrino.
Marchica era già stato in precedenza interrogato dallo stesso
Bellodi perchè riconosciuto anche dalla moglie di Paolo
Nicolosi ,paesano scomparso la mattina dello stesso omicidio
probabilmente perchè testimone degli spari.
I tre vengono interrogati da Bellodi e i giornali fanno clamore
pubblicando la foto di Arena insieme a delle persone molto potenti
a indice del fatto che Arena è amico di persone molto influenti
ciò porta ad un dibattito in parlamento con la presenza di due
mafiosi anonimi.
Bellodi, rimasto a Parma dopo una licenza di un mese, viene a
conoscenza del fatto che i tre sono stati scagionati da persone
molto in alto e cioè a opera di politici che vogliono mantenere la
loro reputazione.

mercoledì 15 febbraio 2012

Lettura del mese

UN CUORE ARIDO di Carlo Cassola

A Marina di Cecina, due sorelle, rimaste orfane fin dalla giovane età, vivono con la loro zia che fa la sarta.
Anna Cavorzio ha diciotto anni. Ha i capelli corti, con una frangetta che le copre la fronte, ha il naso bel modellato, le labbra ben disegnate e in rilievo, “ma il bello di Anna erano gli occhi: verdi, cosa rara in una bruna e la voce: rauca, quasi cavernosa, che sulle prime poteva riuscire sgradita, poi si rivelava incantevole.” (pag 15).
La stagione estiva giunge al termine, un giovane del luogo, Enrico, corteggia Anna ma la fanciulla lo respinge con rabbia.
Incapace di dimostrare i propri sentimenti, osserva con distacco la realtà della provincia in cui vive, prendendo le distanze dai coetanei e dal loro modo, a volte gioioso, a volte drammatico di affrontare le piccole quotidianità.
Anna sorride delle loro paure e della loro mentalità chiusa, si sente immune dalle passioni adolescenziali; quando però scopre per la prima volta l’amore, la sua vita viene sconvolta.
Mentre Anna è una ragazza ritrosa, dura e caparbia, Bice la sua consanguinea è l’opposto, equilibrata e tranquilla. Durante l’autunno, la ragazza conosce un soldato, si innamora e si fidanza.
Una sera, mentre Anna fa ritorno a casa, incrocia il militare che la scambia per la sorella; il giorno dopo, alle prove del teatro, rincontra il giovane che si rivela essere il nuovo attore della compagnia teatrale.
Anna e Mario cominciano a parlare, a scherzare; la fanciulla viene a conoscenza della relazione del giovane con Bice, ma nonostante ciò, si innamora follemente del giovane.
Inizia così la loro segreta storia d’amore, assoluta ed esclusiva; amoreggiano nei boschi, in casa, mentre la sorella è a letto, ammalata, nella stanza accanto.
I due si scambiano baci, coccole, tutto è perfetto, ma improvvisamente arriva una brutta notizia: Mario deve partire per l’America, deve andare a lavorare dallo zio che gli ha trovato un’occupazione. Prima della separazione, i due amanti fanno l’amore, spinti da un sentimento tra rabbia e desiderio.
Mario parte e non dà più sue notizie, le due sorelle soffrono per diversi mesi perla perdita del giovane; Anna però torna a sentirsi libera, ad avere aspettative per il futuro; durante l’estate si diverte, va a ballare allo chalet, ritorna ad essere una ragazza spensierata: il ricordo di Mario si sbiadisce, ma non scompare.
Una sera d’estate, a Livorno, conosce Marcello, un giovane di ventisei anni. Anna inizialmente è diffidente e schiva, poi gli concede un ballo.
I due vanno sulla spiaggia, Marcello le strappa un bacio che segnerà l’inizio di una serie di incontri “La sua volontà cercò di resistergli. Era assurdo quello che stava succedendo, ma era troppo stanca”, “ Chiuse gli occhi e lasciò che si compisse ciò che la vita aveva stabilito” (pag. 222).
Anna, impulsivamente, lascia Marcello, non per paura, ma perché ha capito i propri sentimenti. La giovane ha però perso la reputazione: uno “scarto”, dopo la concessione al proprio fidanzato, nel piccolo paesino, significa disonore.
Bice, nel frattempo, decide di sposarsi con Enrico, il ragazzo che alcuni anni prima faceva la corte ad Anna.
Anna, dopo il matrimonio e dopo aver accompagnato alla stazione gli sposi, diretti a Roma per il viaggio di nozze, torna a casa. È felice per la sorella, ma allo stesso tempo, è dispiaciuta per la sua assenza.
Anna riceve una lettera, non è da parte di Beatrice, ma da parte di Mario che le chiede di sposarla. La giovane gli risponde, confessandogli il suo “ tradimento”, non accetta la proposta ma gli promette eterno amore.
Anna non ha paura del futuro, vive il presente, assaporandone ogni momento, anche il più semplice “Anna non provava invidia. Era ormai una donna soddisfatta, quieta e saggia; non aveva desideri né rimpianti, - ma soprattutto - non temeva la solitudine” (Pag. 315).


Un cuore arido è una storia all’inizio travolgente, ma con un finale deludente. La prima parte del romanzo crea un effetto di suspence incredibile che sembra precedere una conclusione inaspettata e coinvolgente, ma non è così. La fine è piuttosto banale e triste.
Questo romanzo mi ha mostrato i cambiamenti che sono avvenuti, nell’ultimo secolo, nel modo di pensare e di atteggiarsi; prima le ragazze si facevano mille problemi su come comportarsi in pubblico per paura dell’opinione della gente, in particolar modo per ciò che riguardava la sfera sentimentale e sessuale: in teoria, avrebbero dovuto concedersi solo a colui che avrebbero sposato.
Rimango incantata quando sento la mia nonna che racconta della sua adolescenza, del modo in cui si vestiva, dei discorsi che faceva con i ragazzi e della paura che aveva di soffermarsi più del dovuto a parlare con mio nonno, con il quale era già fidanzata a quindici anni. Mai nella sua vita ha affrontato discorsi riguardanti l’affettività, né con la sua mamma né con la mia. Solo ora che è nonna affronta l’argomento per metterci in guardia dall’altro sesso con strani giri di parole e con tanta tenerezza.
Oggi invece, tra le ragazzine, chi ha più fidanzati è la più “ figa” e il desiderio più grande è quello di attirare l’attenzione di tutti.
Non dico che bisogna essere pudici e ritrosi come nel passato, l’eccesso è comunque sempre sbagliato, l’ideale sarebbe trovare la giusta misura in ogni cosa, facendosi guidare dal buonsenso.



da Alessandra

A scuola di...

Gli studenti del Liceo Cairoli affrontano i misteri dell’economia


Una full immersion sui problemi e sulle complesse regole che sovrintendono all’economia globale, con un’attenzione particolare alla crisi economica in Grecia, sommersa da debiti a cui non è in grado far fronte.
A parlare di questi problemi e di altro ancora, martedì mattina al liceo Cairoli c’era l’inviato de “Il Sole 24 ore” Elio Silva.
Parlando del paese della grande cultura classica, il giornalista del “Sole” è stato chiaro: «Se la Grecia non riuscirà a porre rimedio alla situazione entro la fine della settimana, farà default. Gli saranno sicuramente concessi tempi più lunghi per restituire il denaro, ma qualcosa bisognerà decidere».
Tra le ipotesi, la Grecia pensava addirittura di tornare alla sua moneta precedente, la dracma, abbandonando l’euro che quattro anni fa era visto come la moneta del riscatto.
Esistono tutt’oggi, oltre alla Grecia, aree deboli P.I.I.G.S., un acronimo formato dalle iniziali dei nomi di alcuni paesi europei, Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna. Un gioco di parole con il termine inglese pigs, che significa porci. E già questo dice molto sulla considerazione degli operatori internazionali.
«Il prodotto interno lordo greco è però del 160% - ha aggiunto Elio Silva - quello italiano 120%: cifre allarmanti. Ma anche gli Stati Uniti stanno affrontando un periodo di crisi e anche il dollaro è a rischio.
Nel 2007 si è assistito, sul territorio americano, ad un crollo economico conseguente ad una crisi della finanza. Le cause principali sono la globalizzazione e la dematerializzazione: ogni cosa viene messa per iscritto e non ci sono più scambi materiali».
Gli USA vengono inondati dalla liquidità, ma la situazione non migliora; l’America, però, pur riscontrando numerose difficoltà, è in grado di rinascere. L’Italia, secondo il giornalista economico, non ne ha le capacità e anche l’impegno scarseggia.
L’esperto ha posto poi un quesito: è vero che la Germania non vuole sostenere gli stati dell’U.E? Non si tratta di timore, il governo tedesco ha paura di effettuare prestiti, dopo quello che è successo in Grecia.
Il giornalista ha poi chiarito l’importanza di alcune parole che recentemente sentiamo ripetere spesso e di cui non conosciamo il significato. Spread è una delle più inflazionate e riguarda il differenziale di titoli di Stato analoghi dei paesi diversi. Silva ha poi parlato delle banche di sistema, che hanno il controllo assoluto, di recessione, di economia stabile e di economia del futuro.


da Alessandra

A scuola di legalità

A scuola di legalità: Anna Canepa incontra i giovani del Liceo Cairoli


Venerdì 20 Gennaio, Anna Canepa, sostituto procuratore alla Direzione nazionale antimafia, che si occupa di analisi e coordinamento su Lombardia e Liguria, ha incontrato gli studenti delle classi terze e quarte del Liceo Cairoli presso il cinema teatro Odeon di Vigevano per parlare delle crescenti infiltrazioni criminali nelle regioni italiane.
“Le mafie non esistono solo al Sud, ovviamente sono più concentrate in quei territori, ma esistono anche al Nord, in Liguria, la mia amata regione” dice Anna Canepa.
Spiega che esiste un sistema culturale che continua a relegare la criminalità organizzata al Sud, rendendo, così, estremamente difficile, in territori lontani dalle regioni italiane a tradizionale concentrazione mafiosa, fare attività e informazione antimafia: attività e informazione che, però, sono quanto mai necessarie per acquisire maggiore consapevolezza della realtà che ci sta intorno.
Racconta poi della sua città natale, Sanremo, delle bellezze liguri e poi inizia a parlarci della sua vicenda personale.
Ci narra del suo percorso di studio, delle difficoltà, delle rinunce, dei sacrifici che le hanno permesso di diventare magistrato nel 1987.
Effettua il tirocinio a Caltagirone, una ridente località siciliana; spiega le paure, i timori, le ansie provate in questa città, quando magistrato ancora inesperto, uno dei “giudici ragazzini”, (come li definì l’allora Capo dello Stato, Francesco Cossiga) è stata inviata in un territorio in cui la giustizia era ed è fortemente minacciata dalle cosche mafiose.
Poco dopo si trova immersa nella storia di Gela, una città con un mare meraviglioso, con un interessante sito archeologico ma devastata dal punto di vista ambientale e sociale: esiste una raffineria che causa numerosi problemi ecologici, è oppressa dalla presenza mafiosa; Gela, spiega Anna Canepa, ha bisogno di vedere la giustizia quotidiana, di sentire la presenza di funzionari attenti e partecipi alle esigenze dei cittadini, per non cadere nel racket mafioso.
In Sicilia, dopo aver intrapreso un processo di accusa contro 100 mafiosi, viene messa a repentaglio la sua vita con un’autobomba che sarebbe dovuta esplodere sulla strada Gela-Catania.
Negli Anni Novanta il magistrato ritorna nell’Italia del Nord dove affronta il duro compito di dimostrare che, anche nel settentrione, esiste la criminalità organizzata che avvelena il tessuto sociale ed economico.
Nel 2009 torna volontariamente per dieci mesi in Sicilia, alla procura di Gela per coprire uffici giudiziari lasciati scoperti.
E oggi, la nomina alla Procura nazionale antimafia, culmine di un’esperienza ventennale e nuovo banco di prova in un’Italia sempre sorda agli allarmi, anche davanti alle indagini più eclatanti.
La Canepa ha concluso presentando la diffusione delle mafie nel mondo, le loro caratteristiche e ha spiegato che ogni cittadino deve essere consapevole degli avvenimenti del luogo in cui vive e, se vede delle ingiustizie, denunciarle.
Ha sottolineato che ci vuole molto impegno da parte di tutti, è però necessaria una seria volontà politica quindi strumenti, mezzi, leggi adeguate. Spesso i governi negano il problema, non solo in Italia, ma in Europa e nel mondo, cosicché la mafia si infiltra in ogni struttura.

La battaglia alla mafia, a mio parere, è ancora lunga e va combattuta non solo a livello politico ma anche tentando di debellare la mentalità mafiosa che ci può essere in ciascuno di noi, quella mentalità che si basa sulla prepotenza, sulla sopraffazione, sull’omertà.



da Alessandra

In ricordo della Shoah

Il 27 gennaio, giorno in cui sono stati abbattuti i cancelli di Auschwitz, si celebra il Giorno della Memoria in ricordo delle vittime dell’Olocausto, una ricorrenza fondamentale per non dimenticare ciò che è accaduto per volere dell’uomo.
Con il termine Olocausto si intende la persecuzione e lo stermino sistematici di circa sei milioni di Ebrei e di tanti "diversi" (dissidenti politici, zingari, testimoni di Geova, omosessuali) attuati con burocratica organizzazione dal regime nazista.
L’odio particolare verso gli Ebrei, tuttavia, precede l’età moderna. Tra le più comuni manifestazioni di antisemitismo nella Storia ricordiamo violente sommosse popolari scatenate contro gli ebrei, accusati delle più terribili nefandezze, dall’assassinio di Gesù all’uso di sangue di bambini cristiani a scopo rituale.
Il Partito Nazista, fondato nel 1919 da Adolf Hitler, dà espressione politica alle teorie sul razzismo. In parte, il partito basa la propria popolarità proprio sulla diffusione della propaganda anti-ebraica. Milioni di persone comprano il libro di Hitler Mein Kampf (La mia battaglia) in cui si reclama l’allontanamento degli Ebrei dalla Germania. Vengono create una serie di leggi antisemite e viene ordinato il boicottaggio economico degli Ebrei.
Nel 1935, le Leggi di Norimberga introducono una definizione razziale degli Ebrei, basata sulla diversità di “sangue”, e ordinano la totale separazione della popolazione “ariana” da quella “non ariana”. In questo modo, i nazisti stabiliscono una visione gerarchica della società, basata sulle differenze di razza.
La notte del 9 novembre 1938, in tutta la Germania e in Austria, i Nazisti distruggono diverse sinagoghe e le vetrine dei negozi dei cittadini ebrei (la Notte dei Cristalli). Tale episodio segna il momento di passaggio a una nuova fase di distruzione, nella quale il genocidio diventerà l’obiettivo centrale dell’antisemitismo nazista.
Uomini, bambini e donne vengono strappati dalle loro case e condotti nei campi di concentramento o di sterminio. Diversamente dai primi, che servono principalmente come campi di detenzione e di lavoro, i secondi (anche conosciuti come “campi della morte”) sono quasi esclusivamente vere e proprie “fabbriche di morte”.
E’ così che nei lager di Dachau, Mauthausen, Buchenwald, Auschwitz e Belzec , ecc., gestiti da circa 20mila soldati tedeschi selezionati per la loro fedeltà ad Hitler, si consuma il più grande genocidio della storia umana.
Ad ogni ebreo viene tatuato un numero di identificazione che rappresenterà il suo nuovo ed unico nome. Per i deportati, accomunati dalla sofferenza, comincerà un cammino lento e privo di speranza, durante il quale ogni uomo stenterà a riconoscere la persona che è stata e che è ora costretta ad essere.
Le donne sono private della loro dignità ed intimità, vengono loro tagliati i capelli, subiscono atroci violenze, sono denutrite, costrette a lavorare e a morire di fatica e di stenti.
Come gli uomini sono obbligate a lottare per un pezzo di pane e così i loro mariti e i loro figli ai quali, tra gli orrori dei campi, viene negata l’infanzia e l’adolescenza.
I detenuti possono essere puniti sulla base di qualsiasi genere di colpa: per aver raccolto una mela, per essersi tolti un dente d’oro in cambio un pezzo di pane, perché troppo lenti nel lavoro o stremati dalla fatica.
A vecchi ed inabili al lavoro non è concesso il lusso di sperare: vedono terminare la loro esistenza senza attesa.
Spesso radunati con la speranza di potersi lavare, vengono mandati in docce dai cui rubinetti non scende acqua…..
Dobbiamo ricordare ogni singolo uomo, che ha combattuto per la propria esistenza, che ha continuato a sperare per la propria libertà.
Ma non solo, non ci dobbiamo scordare della crudeltà e della brutalità dei carnefici che ponevano fine a milioni di vite e che, forse ribellandosi, avrebbero potuto variare il corso della storia.
La Giornata della Memoria rappresenta un’occasione di preziosa reminescenza collettiva, ma deve anche essere un’assunzione di responsabilità nel presente e per il futuro, affinché non si perdano di vista i valori democratici e civili necessari a contrastare ogni manifestazione di razzismo e antisemitismo ancor oggi presenti in Italia e in Europa.
Razzismo e xenofobia si combattono ricordando il passato ogni giorno: ”Ripetetele ai vostri figli, o vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi ”( Primo Levi).
da Alessandra

mercoledì 8 febbraio 2012

argomenti interrogazione di latino -2

Testi primo voto orale secondo quadrimestre programma di lavoro
Terenzio vita e opere
da Adelphoe atto I,scena I un vecchio progressista/Micione pag.127
da Heautontimorùmenos-Padri contro figli:il pentimento pag.130
Da Adelphoe,La società si evolve:modelli educativi a confronto pag.134
Da Adelphoe,Le riflessioni di un padre deluso pag.152
I prologhi in Terenzio:
Andria ,In difesa della contaminatio pag.137
Heautontimorumenos,Il dialogo motore dell’azione pag.138
Hecyra,In difesa della commedia e del suo autore pag. 140
Humanitas:storia di un concetto pag.117
Lucilio e la nascita della satira –Urbanitas,la ricerca del bon ton (pagg.153-156)
Il contesto:età dei Gracchi e la dittatura di Silla
L’età di Cesare la fine della repubblica
L’autore: Cicerone :dati biografici e opere (descrizione del corpus delle opere,in modo analitico le orazioni e l’epistolario,in modo sintetico il resto) (da pag.168 a pag.174) Epistolario pag.182
Box di approfondimento Asianesimo e atticismo a pag.174
Box di approfondimento: i generi dell’oratoria e le parti dell’orazione a pag.175
Testi in latino (analisi del testo / traduzione/contestualizzazione)
Da Catilinaria I,1 pag.194 + scheda di analisi in fotocopia
L’autore Cesare : dati biografici e opere da pag.268 a pag.273
Testi in latino (analisi del testo / traduzione/contestualizzazione)
(vengono indicati solo i nuovi testi,ripasso e sintesi dei testi già verificati nel primo quadrimestre)
Da De bello Gallico
VII,4 Vercingetorige pag.302
VII,71 Vercingetorige organizza la resistenza pag.512
VII,77,3-16 Il discorso di Critognato pag.305(testo latino in fotocopia
VII,88 Alesia:la battaglia decisiva pag.307
VII,89-90 La fine della guerra in Gallia pag.309
Da De bello civili
I,3 Le ragioni dei nemici,secondo Cesare pag.312
III,73 Virtus e fortuna :Cesare incoraggia i soldati pag.321
Cesare parla al senato De bello civili I,32 pag.316
Cesare vuole evitare lo scontro De bello civili I,72 pag. 317
Box approfondimento:la clementia del potere:storia di uno strumento politico pag.319
Resta compreso nel programma di interrogazione quanto già verificato nel primo quadrimestre:
Il contesto:dalle origini di Roma alla conquista dell’Italia –la società e la cultura –lea nascita della letteratura latina-il teatro romano arcaico-l’epica arcaica:Livio Andronico e Nevio-Plauto .la commedia plautina:personaggi e intrecci,i personaggi tipo
Il contesto :la conquista del Mediterraneo:le guerre puniche e l’oriente greco-Ennio-la tragedia arcaica:Accio e Pacuvio-Catone e gli inizi della storiografia a Roma

testi per interrogazione di latino

Terenzio teoria da pag. 112 a 119        testi   T2 pag 127
                                                                     T4  "    130          + i prologhi (T6, T7,T8)
                                                                     T5  "    134
                                                                     T5  "    152
Lucillo teoria da pag 153 a 156

storiografia da pag. 158 a 166

Cicerone teoria da pag 168 a 182        testi T12 pag 217 fino a paragrafo 6
                                                                   T4 pag 194 fino a paragrafo 1 e scheda con analisi

Cesare teoria da pag 268 a 272          testi della prima interrogazione
                                                                  T1 pag 276
                                                                  T2 pag 280
                                                                  T3 pag 285
                                                                   T4 pag 185
                                                                  T10 pag 298
                 
                                                           testi seconda interrogazione:
                                                                  T12 pag 302
                                                                  T13 pag 305
                                                                  T14 pag 307
                                                                  T15 pag 309
                                                                  T17 pag 316
                                                                  T18 pag 317
                                                                         pag 319 approfondimento
                                                                  T19 pag 321
                                                                         pag 512 ( vercingetorige organizza la resistenza ad Alesia )
                   
                         

martedì 7 febbraio 2012

laboratorio di scrittura

Il quotidiano in classe.it Temi della settimana del 6-02-2012

Anziani: a cosa servono i vecchi?

Il libro che vorrei scrivere

Martone: "Chi si laurea dopo i 28 anni è uno sfigato". Cosa ne pensi?

recensione la solitudine dei numeri primi

Recensione di Banzato Erika
La solitudine dei numeri primi  di Paolo Giordano

Il libro tratta di Alice e mattia, due bambini che diventano adulti, due vite segnate. Alice, una bambina obbligata dal padre a frequentare la scuola di sci per la quale non nutre nessun interesse, una mattina allontanarsi dal gruppo durante una discesa, avrà l’incidente che le segnerà il resto della vita. Abbandonata per ore nella neve con una gamba rotta a causa della caduta, si ritroverà con la suddetta gamba inerte, che la costringerà ad essere la ragazza zoppa per sempre .Mattia, una bambino dell’intelligenza formidabile escluso dai coetanei per via della sorella Michela, affetta da una forte forma di autismo. La presenza di Michela è fonte di continuo disagio per mattia ed è così che un giorno decide di abbandonare la sorella più piccola in un parco ,con la promessa che lei lo aspetterà, per correre alla festa compleanno di un compagno di scuola, la prima alla quale sia stato mai invitato. In quel parco le traccie di michela si perderanno per sempre. Le vite di Alice e Mattia si fonderanno in un modo tutto loro, per allontanare il mondo insieme. Così tra una ragazza insicura di sé e con problemi di anoressia e un ragazzo estremamente chiuso nonché autolesionista nascerà l’amicizia, legati dal loro essere diversi dal resto del mondo, ma mai capaci di abbandonarsi completamente l’uno dall’ altro. Come due numeri primi, vicini ma mai abbastanza da toccarsi davvero. Dopo una vita passata a rincorrersi e nascondere i reciproci sentimenti, solo alla fine dell’ università Mattia riuscirà ad aprirsi ad Alice,  e proprio davanti al quel parco proprio davanti al quale tanti anni prima Michela si era persa, i due si scambieranno il loro primo bacio. È una lettera per un lavoro da professore universitario in uno stato straniero che porterà via Mattia da Alice per i nove anni successivi durante i quali i due ragazzi, ora adulti, affrontano il mondo da soli, ma rimanendo legati sempre dal ricordo di quel finale mai scritto  alla loro storia. In questi anni Alice intraprende la carriera di fotografa il lavoro sempre amato, e si sposa di un matrimonio senza amore al quale si abbandona trascinata dagli eventi della quale non riesce ad essere artefice. Mattia, a migliaia di chilometri da lei,  è un brillante e stimato professore universitario , rassegnato a una vita apatica e ordinaria dedicata solo al lavoro. Una lettera con un sola parola,” torna” firmata da Alice, scuoterà Mattia  dalla sua vita per portarlo bruscamente nei luoghi del suo passato, del loro passato. È il probabile avvistamento di Michela, avvistamento che si rivelerà solo un inconscio desiderio di rivedere Mattia, che spinge Alice, ormai sola e abbandonata anche dal marito, a cercarlo. Dopo tanti anni i due ragazzi si rincontreranno solo per scoprire che le loro strade ormai sono divise dal tempo e che sono finalmente capaci di affrontare il mondo da soli. 

mercoledì 1 febbraio 2012

LATINO-letteratura-lettura critica

Francesco Della Corte L’essenza del comico plautino

Il comico [di Plauto] nasce da una realtà trasfigurata,
da un senso profondo della vita esposta
agli scherzi del Caso, in cui i personaggi
sono in balia di una sorte che è già segnata, di
cui a volte come Demipho nel Mercator e Daemones
nel Rudens, hanno persino presagi e
sogni premonitori, ma di cui non posseggono
ancora la spiegazione. Del corso dei fatti due
soli sono in possesso: il poeta e, grazie al prologo,
che spesso è una divinità (Mercurius,
Arcturus, Lar familiaris), il pubblico. Per contro
è ignaro il personaggio, in questa trepidazione
dell’ignoto, di quello che gli sta per avvenire: il
giovane teme che la sua fanciulla gli sia sottratta;
il servo teme che, se il suo raggiro sarà scoperto,
egli sia mandato a girar la macina del
mulino; il padre teme che il figlio e il servo non
gli combinino qualche tranello; il lenone teme
che la fanciulla che egli possiede non sia scoperta
di nascita ingenua e quindi non perda il
denaro che ha speso per comprarla e mantenerla.
In questa trepidazione generale, il pubblico,
spesso informato di come le cose andranno a
finire, vede placato e compiaciuto lo svolgersi
delle vicende, sorride pensando agli inutili sforzi,
alle vane cautele che il gabbato prende per
difendersi, si compiace dei futili argomenti
addotti da chi, non al corrente di quanto si sta
svolgendo sopra di lui, ha sempre qualcosa da
temere.
Il comico è dunque in questa superiorità del
pubblico o del lettore sul personaggio che appare
così in trepidazione. […] La conoscenza da
parte di Plauto del corso degli eventi non è cosa
che interessi lui solo. Tutti debbono esserne fin
dal principio informati; tutti debbono constatare
che, nonostante gli impedimenti che il Caso
frapporrà, le cose si svolgeranno come era stato
previsto, che la soluzione risponderà al quod
erat demonstrandum.
Perché il comico sorga da queste premesse di
giuoco del Caso, che puntualmente si verifica,
occorre che la vita terrena sia oggettivamente
riprodotta con tutti i suoi contrasti, anzi sia
gustata con senso edonistico proprio nella sua
varietà molteplice. […]
Di tutte le definizioni tentate fino ad oggi del
comico plautino […] rimane per noi soltanto
possibile quella che fa nascere il comico dal
contrasto della vita, visto con distacco dal poeta
e con la superiorità avvertita dallo spettatore o
dal lettore sul personaggio zimbello del Caso.
Poiché tale distacco dalla passione dell’umano
operare e tale superiorità sui proprii simili non
sono della vita quotidiana, ma si determinano
soltanto nel gioco dell’arte scenica, il comico di
Plauto resta sempre una delle più felici creazioni
che l’illusione teatrale abbia dato a un pubblico,
vero o immaginario, che sia entrato nel
cerchio magico appositamente creato dal poeta.
F. Della Corte, Da Sarsina a Roma. Ricerche plautine,
La Nuova Italia, Firenze 1967, pp. 288-289

Italiano-guida alla scrittura-scheda argomentazione

Una proposta per chi vuole provare a esercitarsi ad argomentare...

Nome :

Titolo :

INTRODUZIONE il primo capoverso [ titolo ]

Creare interesse

Presentazione del tema

Frase-guida (enuncia la tesi)

Anticipazione sintetica degli argomenti (blueprint)

Frase di transizione (eventuale)

CORPO DEL TESTO il secondo capoverso [ titolo: ]

Frase-guida (il 1° argomento)

sottoargomento 1

sottoargomento 2

sottoargomento 3

Frase di transizione (eventuale)

il terzo capoverso [ titolo: ]

Frase-guida (il 1° argomento)

sottoargomento 1

sottoargomento 2

sottoargomento 3

Frase di transizione (eventuale)

il quarto capoverso [ titolo: ]

Frase-guida (il 1° argomento)

sottoargomento 1

sottoargomento 2

sottoargomento 3

Frase di transizione (eventuale)

CONCLUSIONE il quinto capoverso [ titolo: ]

Ricapitola l’argomentazione

(rimetti a fuoco il tema

riformula la tesi

riprendi gli argomenti)

Trova un’efficace
formula di chiusura

latino lettura integrativa

a conclusione della lettura dei fatti di Alesia,vi propongo di leggere questo articolo:

Il Sole 24 OreDomenica 03 Agosto 2008

Cesare ad Alesia, così nasce la logistica di Andrea Casalegno

Gallia, 52 a.C., fine settembre. Caio Giulio Cesare sta per giocarsi in una sola battaglia il potere e la vita. L'intera Gallia, da poco sottomessa, è in rivolta, chiamata alle armi dal giovane re degli Arverni, Vercingetorige, che si è chiuso nella sua roccaforte di Alesia con 80mila guerrieri. Cesare, che lo incalza, è giunto sotto le mura con 50mila legionari. Ma alle sue spalle si sta avvicinando a marce forzate un esercito di 200mila Galli. Il Paese che gli ha dato fama e ricchezza sta per diventare la sua tomba?

Nato nel 101 a.C., Cesare ha quasi cinquant'anni. Un vecchio, per quei tempi, deciso tuttavia a conquistare il potere in una Roma dilaniata da mezzo secolo di guerre civili. Le grandi famiglie patrizie, che occupano quasi tutti i seggi del Senato, l'organo in cui si concentra l'esperienza storica della res publica, si oppongono ai populares, che oggi definiremmo ceti medi, guidati dalle famiglie più ricche dei «cavalieri»: ind5ustriali e mercanti così chiamati perché in guerra hanno il diritto di combattere a cavallo.

Potremmo dire, parafrasando un grande teorico militare, Karl von Clausewitz (1780-1831), che la guerra è la prosecuzione della competizione economica con altri mezzi. Conquista dei mercati, strategie di penetrazione, lotta, sfida, vittoria: il successo economico si esprime con il linguaggio degli eserciti. Le virtù che fanno vincere sono le stesse: coraggio, tenacia, fantasia, conoscenza del terreno, rapidità di decisione, velocità di esecuzione, capacità di valutare e motivare gli uomini.

Clausewitz, generale prussiano al servizio dello zar Alessandro I contro Napoleone, definiva la guerra «il regno della fatica e del pericolo». Le virtù più importanti sarebbero, dunque, il coraggio e la resistenza. La guerra però, come l'industria, è un'impresa collettiva. Le virtù individuali non sono sufficienti. Per dirigere migliaia di uomini verso una meta comune è necessaria un'elevata capacità organizzativa, senza la quale il genio stesso è impotente.

Per sei secoli, dal III a.C. al III d.C., Roma vinse, se non tutte le battaglie, tutte le sue guerre. Eppure i Romani non avevano la guerra nel sangue. Erano un popolo di contadini, non di nomadi predoni, come i Mongoli, i Vichinghi o i Tuareg. In battaglia li guidavano i consoli, che erano due e cambiavano ogni anno; non erano generali, ma cittadini seri e rispettati. Quando invase l'Italia, nel 218 a.C., Annibale distrusse più volte gli eserciti di Roma. Alla fine però Scipione detto l'Africano vinse a Zama, nei pressi di Cartagine, nel 202, e Annibale andò in esilio.

Il segreto delle vittorie di Roma non è la ferocia in battaglia, né una tecnologia superiore, ma la capacità organizzativa. La legione è il prodotto, unico nella storia, di una razionalità paziente e inflessibilmente orientata al risultato. Lo stesso tipo di pensiero rese eterne nella pietra le Mura Aureliane, che ancora circondano Roma, l'immensa mole del Colosseo, il maestoso acquedotto chiamato oggi Pont du Gard, che riforniva Nîmes, una piccola città della Gallia, e rese eterne, raccolte e pubblicate nel Digesto dall'imperatore Giustiniano nel 533 d.C., le strutture portanti del diritto, nate dalla riflessione dei giureconsulti romani. La stessa semplicità si riflette nella laconicità della lingua latina, che ebbe in Cesare un maestro di stile, nel movimento potente e flessibile delle coorti sul terreno, nella struttura a scacchi del castrum e della città romana, nella ragnatela di strade disseminate in ogni parte dell'Impero, spina dorsale del benessere e della pax romana.

Ogni legionario era un abile zappatore, capace di scavare fossati, innalzare terrapieni ed erigere fortificazioni anche di notte dopo una lunga marcia. Per inseguire le tribù germaniche di Ariovisto, che avevano sconfinato in Gallia, Cesare fece costruire sul Reno un solido ponte di tronchi, che venne smontato pezzo per pezzo alcune settimane dopo: un'impresa prodigiosa agli occhi delle tribù barbare, che contribuì non poco a diffondere il timore di Roma.

Non meno importante per la vittoria era la rapidità di movimento delle legioni, frutto di una logistica perfetta. Nessun esercito pedestre fu mai altrettanto veloce. Al comando di Cesare la tappa abituale di 30 km poteva salire fino a 50, proseguendo anche tutta la notte.

Cesare non s'impadronì della Gallia per diffondere la civiltà, ma per motivi assai più prosaici. Il suo avversario, Gneo Pompeo, era in vantaggio perché poteva contare sull'appoggio del Senato e su legioni devote a lui solo. Cesare aveva urgente bisogno di denaro e di truppe, e aveva un solo modo per procurarsele: una guerra vittoriosa.

Il Senato affidava ai consoli, scaduto il mandato, il governo temporaneo di una provincia recente, per consolidare il potere di Roma. Nel 57 a.C. Cesare, trovato un accordo provvisorio con Pompeo, si fece assegnare la Gallia Narbonese, una sottile striscia di costa tra le Alpi e i Pirenei, che si addentrava nell'interno solo nella regione di Lugdunum (Lione). La sua intenzione era farne la base per sottomettere l'intera Gallia, che, per i lunghi capelli dei suoi abitanti, era detta Chiomata.

Gli Elvezi, attaccati dalle tribù germaniche di Ariovisto, chiesero il diritto di passaggio nella Gallia Narbonese, per raggiungere la Spagna. Cesare lo negò, li respinse nelle valli dell'odierna Svizzera e ricacciò i Germani oltre il Reno. L'anno successivo estese il suo protettorato sulla Gallia centrale. Infine sottomise la Gallia Belgica, abitata da tribù celtogermaniche, raggiunse la costa atlantica e gli attuali Paesi Bassi e, non contento, guidò due spedizioni vittoriose in Britannia.

Sotto una pace apparente covava però il desiderio di rivincita. Nell'estate del 52, mentre Cesare si trovava in Italia, l'intera Gallia insorse all'appello di Vercingetorige, re degli Arverni. Poiché i Galli erano combattenti valorosi ma indisciplinati, il giovane re impose la propria autorità con metodi spietati: le colpe minori erano punite con la mutilazione del naso e delle orecchie, le più gravi con il rogo.

I Galli erano superiori di numero, soprattutto nella cavalleria. Ma non osarono affrontare le legioni e si rinchiusero nella roccaforte di Alesia. Il sito, dettagliatamente descritto da Cesare nei Commentari, fu individuato sin dall'Ottocento, grazie agli scavi ordinati da Napoleone III. L'oppidum di Vercingetorige sorgeva nei pressi della cittadina di Alise-St.-Reine, sul Monte Auxois, 418 metri sul livello del mare e 160 sopra la pianura di Launes. La fortezza era difesa da potenti baluardi naturali. Solo da un lato era aperta sulla pianura.

Vercingetorige, convinto di aver preso Cesare in trappola, non temeva né un assalto, impossibile con forze inferiori, né un assedio, poiché sapeva che 200mila Galli si stavano avvicinando. Ma Cesare capovolse la trappola, facendo costruire a tempo di record 36 km di fortificazioni ad anello, con terrapieni, palizzate, fossati e torri di vedetta: 15 km rivolti verso le mura di Alesia e 21 km, a qualche centinaio di metri di distanza, a seconda del terreno, verso l'esercito che stava per giungere. Inoltre (si veda la scheda qui sotto) introdusse alcuni marchingegni di sua invenzione per rendere le difese ancora più efficaci. Nel perimetro difensivo vennero accumulate derrate e foraggio per resistere a oltranza. Una volontà ferrea e una logistica perfetta ottennero un risultato che ha dell'incredibile.

La battaglia era moralmente vinta prima ancora di essere combattuta. Quando giunse l'esercito di soccorso, i legionari erano pronti a riceverlo. Tale era la loro fiducia nel capo, che neppure l'enorme disparità di forze li sgomentò. Mentre in Alesia gli assediati morivano letteralmente di fame, tutti i tentativi per liberarli fallirono con gravissime perdite. Per un mese intero, fra settembre e ottobre, i Galli assalirono dall'interno e dall'esterno i trinceramenti romani; ma furono sempre respinti. Nell'ultimo assalto si combatté lungo l'intero perimetro, su entrambi i lati. Poiché i legionari erano troppo pochi per difenderlo tutto, Cesare creò un corpo mobile che accorreva ove fosse necessario. Alla fine gli attaccanti si ritirarono e Vercingetorige si arrese. Il re degli Arverni si presentò davanti a Cesare e depose ai suoi piedi la spada, l'elmo e la corazza.

In pochi mesi la Gallia venne pacificata. I celti riconobbero la superiorità dei vincitori e diventarono gli alleati più fedeli di Roma, assimilandone in meno di un secolo lingua, istituzioni, costumi. Già prospera grazie a un'agricoltura e a un artigianato assai evoluti, la Gallia si coprì di una fitta rete di strade, sulle quali viaggiavano assai più spesso dei legionari ogni genere di mercanzie. I villaggi si trasformarono in città di pietra, cinte di mura e ricche di templi, teatri, anfiteatri, terme e acquedotti che poco avevano da invidiare a quelli d'Italia. L'assimilazione creò un'unica civiltà gallo-romana, che rivolse un fronte compatto contre le successive ondate d'invasione dei popoli germanici.

Ancora più impressionante si dimostrò la potenza civile e culturale di Roma quando, a partire dal V-VI secolo d.C., la tribù germanica dei Franchi conquistò a poco a poco tutta la Gallia, dandole il nome di Francia. I Franchi si impossessarono bensì del potere, gettando le basi della civiltà feudale, ma adottarono la lingua del popolo sconfitto. Il latino prevalse, caso pressocché unico nella storia, sulla lingua dei vincitori. La Francia si aprì al meglio della civiltà romana, basata sul senso dello Stato, sulla volontà di difenderlo, sull'efficienza delle istituzioni: un'eredità che noi italiani, eredi anagrafici dell'Impero, abbiamo in buona parte dilapidato.

Domenica 03 Agosto 2008

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