NATI DUE VOLTE di Giuseppe
Pontiggia
In questo romanzo, Giuseppe Pontiggia
racconta la propria esperienza di padre di un figlio disabile dalla nascita.
Sin dalle prime pagine si respira il
dramma che ogni giorno il ragazzo, con l’aiuto della famiglia, deve affrontare
per sentirsi parte della società “Una signora ci guarda accigliata vicino ad un
ombrellone giallo […]. Anch’io la
guardo, sono stanco delle persone che ci guardano.” (Pag. 3).
Il prof. Frigerio viene avvisato, mentre
è a scuola, che la moglie è stata ricoverata in ospedale ed è in procinto di
dare alla luce il loro figlio.
Il neonato nasce con l’aiuto del
forcipe, dopo un estenuante travaglio: è cianotico, catatonico, il suo piede
sinistro è scosso da un tremito, le manine si contraggono ritmicamente in
spasmi epilettici “Chi mi aveva parlato di felicità della nascita?” (Pag.11). Le
lesioni cerebrali hanno intaccato i centri motori e quelli del linguaggio, Paolo tarderà a parlare, la sua andatura sarà
imperfetta, la sua manualità difettosa. Forse sarà un bimbo intelligente.
Il medico ipotizza il futuro di Paolo,
con parole gravi conferisce ai due genitori una grande responsabilità: “Questi bambini nascono due
volte. Devono imparare a muoversi in un mondo che la prima nascita ha reso più
difficile. La seconda dipende da voi, da quello che saprete dare. Sono nati due
volte e il percorso sarà più tormentato. Ma alla fine anche per voi sarà una
rinascita. Questa almeno è la mia esperienza. Non so dirvi altro” (Pag. 18).
La prima fisiatra interpellata dà un
quadro catastrofico dell’evoluzione
della malattia e dei risultati della fisioterapia “Quando vedo Paolo camminare,
barcollando, davanti a me, rivedo lei che barcollava sul tappeto, nella stanza
grigia, al tramonto, proiettando un’ombra dilatata sulla parete. Penso che è
stata l’unica a darci del futuro l’immagine più vicina alla realtà. E forse per
questo l’abbiamo rifiutata” (Pag. 23).
Il professor Frigerio si rende conto di quanto sia difficile
accettare coloro che ci appaiono “diversi”. Diventa così testimone di episodi
di intolleranza, a scuola, per strada, in famiglia. Si ritrova a dover difendere un’alunna con
difficoltà a modulare la voce da coloro
che la considerano immatura e senza rispetto per lo studio.
Deve riprendere Alfredo, il primogenito,
di tre anni maggiore, che rifiuta Paolo e lo deride per ragioni spesso
incomprensibili dettate dalla paura, dalla
gelosia, dall’avversione per la sua malattia.
Si accorge per la prima volta della menomazione del responsabile della
scuola elementare quando iscrive Paolo alla prima classe. Il dirigente si
dimostra disponibile, condivide il problema, gli promette il meglio per il
bambino “Se c’è qualcuno che può capire i problemi dell’handicap, questo sono
io.” “Qui tuo figlio avrà tutta l’assistenza di cui ha bisogno. L’insegnante
giusta, la classe giusta, il pianterreno. (Pag. 43). In cambio di tanta
gentilezza, il direttore chiede a Frigerio una recensione ad una raccolta di
poesie che intende pubblicare.
Grazie all'amore e alla pazienza della
madre e agli insegnamenti del padre, all'aiuto della psicologa, della maestra e di alcuni medici, Paolo compie notevoli
progressi. Acquista l’indipendenza, va a scuola in go-kart, da solo, ottiene il rispetto e l’amore delle persone
che incontra e con le quali convive ogni giorno. Si iscrive alle superiori, ha difficoltà
nel parlare ma riesce a sintetizzare il proprio pensiero. Non si scoraggia di fronte alle difficoltà quotidiane, conquista un
ruolo, ha il coraggio di esporsi senza
mai negare la propria diversità.
Così, come aveva predetto il medico
dell’ospedale, Paolo nasce due volte: la prima nascita lo ha reso disabile, la
seconda gli ha permesso di diventare una persona forte ed autonoma. Il bambino
debole e malato, destinato ad un futuro doloroso e in solitudine, diventa un
adulto con una vita sociale appagante e serena “Vedi non è che non credevo in
te. Io speravo che tu ce la facessi, ma non volevo illudermi. Sapevo che se mi
fossi illuso, sarei diventato insofferente a ogni tuo sbaglio. Perciò, contro
il mio presentimento, preferivo disperare.” (Pag. 105).
Le vicende di Paolo non sono raccontate
con continuità, ma sono descritti alcuni episodi della vita che sottolineano la
sua lotta per essere “normale”. Quella
di Paolo e della sua famiglia è la storia di tutti coloro che affrontano le difficoltà dell’esistenza con
coraggio e determinazione, che non si lasciano sopraffare dalle loro disabilità,
dal rifiuto e dall’insofferenza degli altri.
Attraverso l'esperienza dell'handicap,
l'autore delinea, in modo attento e crudo, il mondo della medicina, della
scuola, dei rapporti familiari che la
presenza di una grave difficoltà può rendere critici o più intensi.
In ogni riga del romanzo traspare la
dedizione, l’amore e la rabbia di questo padre e questa madre che si ritrovano
con un bambino completamente dipendente, destinato ad un futuro incerto. Due
genitori che minimizzano i progressi del figlio per non illudersi ma, allo
stesso tempo, danno importanza ad ogni miglioramento per trovare la forza di
continuare.
E’ una vicenda che fa
riflettere, che spinge il lettore ad
interrogarsi sui propri atteggiamenti e sulle proprie esitazioni nei confronti
di coloro che sono “diversi”.
Risulta difficile esprimere un parere
positivo su un romanzo così triste, soprattutto se si sa, sin dall’inizio, che
si tratta di una storia vera.