Cerca nel blog

lunedì 16 aprile 2012

letteratura e filosofia

• Corriere della Sera >
• Cultura >
• Vivere in un luogo felice che non esiste
ARTE E FILOSOFIA
Vivere in un luogo felice che non esiste
La Città Ideale e l'utopia politica si incontrano
nella perfetta proporzione rinascimentale
Il tema della Città Ideale, che diventò una specie di idea fissa nel Rinascimento italiano, non può essere disgiunto dal concetto di utopia. Tommaso Moro agli inizi del Cinquecento pubblicò con questo titolo una celebre operetta, che era divisa in due parti: la città reale e quella perfetta. In essa il filosofo inglese descrisse un’immaginaria isola-regno abitata da una società esemplare, giocando con il greco antico per fissarne l’etimologia: ou-topos («non-luogo») e eu-topos («luogo felice»); insomma la sua Utopia equivaleva a un «luogo felice che non esiste».
Fu l’inizio di un genere, seguito in filosofia da altre opere celebri tra le quali è bene ricordare «La città del sole» di Tommaso Campanella. E accanto alle città costruite con le idee non ne mancarono altre, concepite da architetti e artisti. In quel tempo Leon Battista Alberti, il Filarete, Francesco di Giorgio Martini, Pietro Cataneo, Andrea Palladio, Giorgio Vasari il giovane, Vincenzo Scamozzi, per ricordarne alcuni, disegnarono e progettarono appunto città ideali. Quest’ultima era unita a quella filosofica da un sogno greco che risaliva a Platone. Nella Repubblica il sommo pensatore ateniese aveva dato il via a tutte le utopie possibili. Furono le sue idee a muovere quelle del Rinascimento e a guidare le linee degli architetti (e questo anche se il primo progetto in questo senso porta il nome di Ippodamo di Mileto).
La città ideale e l'utopia politica
Vedere una mostra sulla città ideale, così come ci è stata tramandata da quadri o disegni o da alcuni particolari, equivale a entrare in un sogno, anche se non conosciamo con esattezza il nome dell’autore o quello del committente o i perché dell’opera. Il gioco delle proporzioni — di cui fu maestro Luca Pacioli, che con Leonardo parlò a lungo di geometria e di aritmetica — o anche una semplice scenografia di Raffaello o quel che si vede sul fondo di un quadro di Luca Signorelli o di Piero della Francesca ci spingono continuamente in un mondo ideale. Platone aveva fissato con la celebre formula «bello uguale a vero uguale a bene» già quelle linee che non lasciano spazio ad altro che a una ricerca di perfezione. Fu raggiunta? La risposta è ancora di Platone, nel finale del libro nono della sua Repubblica. Vi è un modello fissato nei cieli — sostenne il greco — per chiunque voglia vederlo e, avendolo visto, conformarsi ad esso; ma che esso esista in qualche luogo o abbia mai ad esistere, è cosa priva di importanza: perché quello è il solo stato nella politica di cui possa mai considerarsi parte.
Armando Torno11 aprile 2012 (modifica il 12 aprile 2012)© RIPRODUZIONE RISERVATA

Nessun commento:

Posta un commento