Cerca nel blog

domenica 6 maggio 2012

libri del mese di ...Alessandra


L’ISOLA DEI MORTI di Valerio Massimo Manfredi

Il breve romanzo narra del ritrovamento del relitto di una nave risalente al XIV secolo, affondata nelle acque di San Marco in Boccalama, un’isola oggi sommersa, usata come luogo di sepoltura dei morti di peste nel 1348 a Venezia.
Le operazioni  per recuperare  l’imbarcazione, finanziate dalla Fondazione Foster, una ricca struttura culturale di una grossa azienda di telecomunicazioni, la Intercom,  con sede a Londra, sono affidate da un team di esperti, tra i quali Lucio Masera, topografo.  
Dopo aver prosciugato l’acqua, scavato nel fango e nella melma della laguna per far emergere lo scafo del veliero, gli studiosi scoprono che è stato affondato deliberatamente. Tra i resti,  sono rinvenuti un teschio e un frammento di legno  dello scafo che vengono subito affidati rispettivamente all’Istituto di antropologia dell’Università e al laboratorio dell’Istituto Kemp, per essere analizzati.
Nell’osservare il relitto, costruito con notevole abilità dai  capaci ingegneri navali veneziani dell’Arsenale, il più grande e segretissimo cantiere navale della Serenissima, Masera  cita alcuni versi dell’Inferno: “Quale ne l’arzana de’ Viniziani bolle l’inverno la tenace pece  a rimpalmare i legni lor non sani” (Pag. 7).
A condividere la scoperta, l’amico, Rocco Barrese, filologo romanzo, linguista poliglotta, capace di distinguere le sfumature semantiche e fonetiche di lingue e dialetti e studioso delle fasi compositive della Divina Commedia, le cui ipotesi indicano l’instancabile lavoro di Dante per rendere perfetta la sua opera fino alla fine dei suoi giorni.
Un amico e collega, Stefano Marras scopre che qualcuno ha sottratto un reperto del galeone e identifica il collega britannico Liddel-Scott come possibile colpevole. Per sbaglio ha ascoltato una telefonata tra l’inglese e Sir Foster, presidente dell’Intercom a proposito di una pergamena “Did you get the box with the parchment back from the laboratory?” e “E’ incredibile che ci fosse ancora qualcosa di leggibile dopo tanti secoli di immersione in acqua salata” (Pag. 16). Scatta subito l’allarme e l’équipe italiana, con l’aiuto di Alberto Fossa e di Agostino Fanti, esperto in tecnologie avanzate, si mettono sulle tracce dei due inglesi, per scoprire il contenuto del manoscritto.
Agostino, riesce a registrare una conversazione in dialetto veneto, in cui viene rivelato, anche se non interamente, il contenuto del manoscritto.
Si tratta del furto della Divina Commedia autografa, ad opera di un misterioso ladro che la sottrae a Dante durante un soggiorno a Venezia. Molte sono le congetture che vengono fatte attorno al misterioso furto: Barrese trova la spiegazione nel contenuto di una epistola inviata da Dante a Cangrande della Scala, in cui l’autore afferma di aver fatto realmente il viaggio attraverso i tre Regni, oggetto della sua opera “Ce n’era più che a sufficienza per arrostirlo, se il Papa fosse riuscito a mettergli le mani addosso” (Pag. 59).
Il misterioso ladro fa una copia del manoscritto e la invia al figlio di Dante, Pietro Alighieri “Sei mesi dopo giunse al figlio che grandemente se ne rallegrò” (Pag. 59) e non rivelò mai a nessuno di essere in possesso di una copia e non dell’originale.
La copia autografa viene nascosta nel cadavere di un morto di peste e trasportata all’isola dei morti, da un incaricato (ex malato di peste)  che lo seppellisce insieme ad altre centinaia di corpi. I membri dell’equipaggio, dipendenti del mandante, praticano dei fori nella chiglia della nave, rinchiudono “il monatto” nella stiva, dopo averlo avvelenato  e “Il poveretto fa quello che può per trasmettere ai posteri la verità. Scrive queste poche righe su un foglio di pergamena  che viene ritrovato sette secoli dopo” ( Pag.61)  da Liddel-Scott e sottratto.
Al gruppo di esperti non rimane che rinvenire l’opera autografa di Dante, nascosta nella laguna. Ma dove? E’ un graffito lasciato sul frammento di legno dello scafo della nave ad indicare l’esatta collocazione della Divina Commedia. Arrivano sul luogo indicato ma, con disappunto, si accorgono di essere stati preceduti dagli inglesi. Rinvengono però un frammento del manoscritto “e appena saremo in grado di leggere queste lettere, tu potrai dire se abbiamo in mano un lembo di paradiso, o un pezzo d’inferno” (Pag,76).

E’ il primo romanzo che leggo di Manfredi e mi è piaciuta la storia, la suspense creata dagli avvenimenti e la tipologia dei personaggi e soprattutto la descrizione della città.
L’estate scorsa sono stata a Venezia per la prima volta e, leggendo queste righe, ho rivissuto l’esperienza di camminare tra le calli deserte a tarda sera, di navigare sulla laguna con decine di persone accalcate sui vaporetti durante il giorno, ho risentito l’odore salmastro e il rumore del mare.  
Ho letto il racconto tutto d’un fiato, solo il finale mi ha un po’ delusa, mi aspettavo che i protagonisti riuscissero a svelare il mistero dell’opera di Dante o che accadesse qualcosa di meno banale dell’essere preceduti dal team inglese. Comunque per me, Manfredi è stata una rivelazione, un autore che sa far apprezzare la Storia.

Nessun commento:

Posta un commento