La storia narra del
ritrovamento di una galea veneziana, lunga una trentina di metri, risalente al
quattordicesimo secolo, all’epoca della Serenissima Repubblica, affondata nelle
acque non proprio limpide di San Marco in Boccalama, un’isola della laguna
veneta usata come luogo di sepoltura dei morti di peste nel 1348 (scomparsa nel
corso del XVI secolo). Le complesse operazioni di recupero della nave,
finanziate dalla Fondazione Foster, una ricca struttura culturale di una grossa
azienda di telecomunicazioni che ha sede a Londra, sono condotte da un gruppo
di esperti che, dopo aver prosciugato l’acqua della laguna, scava nel fango e
nella melma per far emergere la nave. Uno degli esperti, il topografo Lucio
Masera, nell’osservare quel relitto, costruito con formidabile perfezione dai
«proti», gli ingegneri navali veneziani dell’Arsenale, il più grande e
segretissimo cantiere navale allora esistente, visitato da Dante Alighieri
nella sua missione a Venezia nel 1321, ricorda alcuni versi dell’Inferno:
“Quale ne l’arzana de’ Viniziani/ bolle l’inverno la tenace pece/ a rimpalmare
i legni lor non sani”. Proprio Masera scopre un graffito inciso nel legno del
paramezzale della nave, una mappa in cui è evidenziato un punto della laguna o
dell’isola stessa che indica forse il luogo in cui si cela un mistero e, nel
seguire la sua indagine, chiede aiuto a Rocco Barrese, il filologo romanzo, ad
Alberto Fossa, a Stefano Marras e ad Agostino Fanti, un mago delle tecnologie
avanzate. Sulla nave si trova anche qualcos’altro di leggibile, una pergamena
il cui messaggio è in alcuni punti cancellato a causa della lunga immersione
nell’acqua salata. Ma il presidente della Fondazione Foster, Sir Basil Foster
ed un suo collega, Micheal Liddael-Scott, durante i lavori di scavo, la
sottraggono illegalmente e la nascondono. Lucio Masera ed i suoi amici
inseguono indizi vecchi di secoli che si intrecciano tra loro, per portare alla
luce un tesoro universale, un patrimonio assoluto dell’umanità.
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