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mercoledì 1 febbraio 2012

LATINO-letteratura-lettura critica

Francesco Della Corte L’essenza del comico plautino

Il comico [di Plauto] nasce da una realtà trasfigurata,
da un senso profondo della vita esposta
agli scherzi del Caso, in cui i personaggi
sono in balia di una sorte che è già segnata, di
cui a volte come Demipho nel Mercator e Daemones
nel Rudens, hanno persino presagi e
sogni premonitori, ma di cui non posseggono
ancora la spiegazione. Del corso dei fatti due
soli sono in possesso: il poeta e, grazie al prologo,
che spesso è una divinità (Mercurius,
Arcturus, Lar familiaris), il pubblico. Per contro
è ignaro il personaggio, in questa trepidazione
dell’ignoto, di quello che gli sta per avvenire: il
giovane teme che la sua fanciulla gli sia sottratta;
il servo teme che, se il suo raggiro sarà scoperto,
egli sia mandato a girar la macina del
mulino; il padre teme che il figlio e il servo non
gli combinino qualche tranello; il lenone teme
che la fanciulla che egli possiede non sia scoperta
di nascita ingenua e quindi non perda il
denaro che ha speso per comprarla e mantenerla.
In questa trepidazione generale, il pubblico,
spesso informato di come le cose andranno a
finire, vede placato e compiaciuto lo svolgersi
delle vicende, sorride pensando agli inutili sforzi,
alle vane cautele che il gabbato prende per
difendersi, si compiace dei futili argomenti
addotti da chi, non al corrente di quanto si sta
svolgendo sopra di lui, ha sempre qualcosa da
temere.
Il comico è dunque in questa superiorità del
pubblico o del lettore sul personaggio che appare
così in trepidazione. […] La conoscenza da
parte di Plauto del corso degli eventi non è cosa
che interessi lui solo. Tutti debbono esserne fin
dal principio informati; tutti debbono constatare
che, nonostante gli impedimenti che il Caso
frapporrà, le cose si svolgeranno come era stato
previsto, che la soluzione risponderà al quod
erat demonstrandum.
Perché il comico sorga da queste premesse di
giuoco del Caso, che puntualmente si verifica,
occorre che la vita terrena sia oggettivamente
riprodotta con tutti i suoi contrasti, anzi sia
gustata con senso edonistico proprio nella sua
varietà molteplice. […]
Di tutte le definizioni tentate fino ad oggi del
comico plautino […] rimane per noi soltanto
possibile quella che fa nascere il comico dal
contrasto della vita, visto con distacco dal poeta
e con la superiorità avvertita dallo spettatore o
dal lettore sul personaggio zimbello del Caso.
Poiché tale distacco dalla passione dell’umano
operare e tale superiorità sui proprii simili non
sono della vita quotidiana, ma si determinano
soltanto nel gioco dell’arte scenica, il comico di
Plauto resta sempre una delle più felici creazioni
che l’illusione teatrale abbia dato a un pubblico,
vero o immaginario, che sia entrato nel
cerchio magico appositamente creato dal poeta.
F. Della Corte, Da Sarsina a Roma. Ricerche plautine,
La Nuova Italia, Firenze 1967, pp. 288-289

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