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mercoledì 7 marzo 2012

recensione "spingendo la notte più in là"

il 12 dicembre 1969 a Piazza Fontana a Milano, esplose una bomba nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura e il Commissario Calabresi si trovò ad essere fra i poliziotti addetti alle indagini. Tre giorni dopo, tra i sospettati, fu fermato l’anarchico Giuseppe Pinelli, detto Pino. Portato in Questura, dopo un lungo interrogatorio Pinelli, precipitando dalla finestra dell’ufficio del commissario Calabresi, morì. Quella disgrazia segnò la condanna a morte del commissario: fu scelto come il colpevole di quella morte. Dalle pagine del giornale Lotta Continua infatti, per lunghi mesi il Commissario fu additato come il “torturatore” di Pinelli, proprio lui che al momento della disgrazia non era nemmeno presente in quella stanza. Una morte annunciata quella di Luigi Calabresi, fine di un tormento accompagnato da minacce scritte sui muri, da violenti attacchi pubblici e da lettere anonime. Il Commissario fu ucciso la mattina del 17 maggio del 1972: mandanti e assassini appartenevano tutti a Lotta Continua. “Spararono a mio padre alle 9.15, mentre apriva la portiera della Cinquecento blu di mia madre”. A raccontare questa tragica vicenda degli anni bui dell’Italia, è, a distanza di trentacinque anni, il figlio primogenito del Commissario, Mario Calabresi. In questo libro, Calabresi ripercorre la storia della sua famiglia dopo quel momento che cambiò la vita di sua madre, dei suoi fratelli e la sua, vittime di cui troppo spesso ci si dimentica il nome Luigi Calabresi era oltre che un uomo di Stato, anche un padre, un marito, un cittadino e il suo omicidio, tutto politico, lasciò sola una moglie, Gemma, allora giovanissima, e tre figli orfani che non ebbero il tempo di conoscere il padre. Mario calabresi è stato capace di intrecciare la sua storia con altre vittime del terrorismo (la figlia di Antonio Custra, di Luigi Marangoni o il figlio di Emilio Alessandrini)

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