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giovedì 8 marzo 2012

Recensione


Spingendo la notte un po' più in là.
Luigi Calabresi, commissario di polizia, fu tra i poliziotti che parteciparono all'indagine sulla strage avvenuta il 12 dicembre 1969 in piazza Fontana a Milano. Tra i sospettati vi fu l'anarchico Pinelli. Quest'ultimo morì, cadendo dalla finestra durante gli interrogatori riguardo alla bomba alla Banca Nazionale dell'agricoltura. Come autore di tale delitto fu additato il commissario Calabresi da una intensa campagna di stampa, quest'evento venne indicato come un presagio della morte di Calabresi; infatti, come si legge nelle prime righe del libro, per la famiglia la morte di Pinelli non fu mai inaspettata ma a partire dalla notizia della morte di Pinelli come qualcosa di ormai certo. Calabresi non riuscì neanche a riscattare la sua innocenza quando il 17 maggio 1972 alle ore 9.15, mentre usciva di casa, trovò la morte con due colpi di pistola. Luigi il 17 maggio dentro casa abbandonò la moglie Gemma appena venticinquenne in attesa e i due figli tra i quali Mario. Dopo un travagliate indagini, il 28 luglio 1988 vennero arrestati Adriano Sofri, Giorgio Pietrostefani accusati da Leonardo Marino, autista dell'auto che accompagnava Ovidio Bompressi, esecutore del delitto, di essere i mandanti. Il 2 maggio 1990 Sofri, Pietrostefani, Bompressi e Marino vennero condannati. Nel '93, come se nulla fosse accaduto, i condannati vennero assolti, ma fortunatamente nel '94 la Cassazione annullò la sentenza precedente e vennero nuovamente condannati. 
Questi lunghi anni vengono raccontati dal figlio Mario con molta fermezza, che ci fa ripercorrere insieme le vicende della sua infanzia dalla morte del padre in poi, tenendo viva nella memoria la figura paterna, facendo emergere il suo profondo dolore ma, allo stesso tempo, la voglia di vivere e l'inaspettata felicità. 
Accomuna la sua vicenda con altre storie di vittime del terrorismo, tra le quali la figlia di Antonio Custrà. 

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